A dieci anni dalla scomparsa, Oristano ricorda l’artista Aldo Contini

Ultime settimane per visitare la mostra nella Pinacoteca comunale

Ancora due settimane di tempo per visitare la mostra dedicata ad Aldo Contini, a dieci anni dalla sua scomparsa. Allestita nella Pinacoteca “Carlo Contini” di Oristano e curata da Giannella Demuro e Ivo Serafino Fenu, l’esposizione dal titolo “ALDO CONTINI 1959/2009, le alchimie della ragione”, è visibile fino a domenica 26 gennaio.

La mostra è un percorso di oltre 70 opere – molte delle quali inedite –, per riscoprire quell’inconfondibile “leggerezza” nell’affrontare le cose della vita e dell’arte e per rileggere un’esperienza estetica tra le più complesse e stratificate, preludio di una più articolata mostra che si terrà nella sua città natale nel 2020. Il percorso espositivo, con importanti opere pittoriche, grafiche e documentarie messe a disposizione dalla famiglia dell’artista, è stato curato dallo scenografo Mattia Enna e da Ivo Serafino Fenu.

Prodotta dal Comune di Oristano – Assessorato alla Cultura col contributo della Fondazione di Sardegna, in collaborazione con la Fondazione Sa Sartiglia e con l’Associazione culturale tramedarte, è la prima retrospettiva dedicata a uno dei massimi artisti contemporanei che la Sardegna abbia espresso negli ultimi settant’anni.

La locandina

È passato sulla terra leggero, com’è dato solo a coloro che, pur grandi, hanno saputo interpretare la loro vicenda terrena con rigore ma, al contempo, con distacco critico e disincantata ironia. Ad Aldo Contini (Sassari, 1924-2009), uno dei massimi artisti contemporanei che la Sardegna abbia espresso negli ultimi settant’anni, la Pinacoteca comunale di Oristano dedica la prima retrospettiva – a dieci anni dalla sua scomparsa –, per riscoprirne quell’inconfondibile “leggerezza” nell’affrontare le cose della vita e dell’arte e per rileggerne un’esperienza estetica tra le più complesse e stratificate. Amava ripetere che «in arte si può fare tutto e il contrario di tutto, l’importante è non crederci», in un gioco dialettico basato sulla dissimulazione e sul depistaggio, e tale motto è stato da sempre la sua linea guida, fin dalla fine degli anni Cinquanta, quando – autodidatta in campo figurativo e con alle spalle studi interrotti di ingegneria –, collabora con Eugenio Tavolara all’interno dell’I.S.O.L.A., divenendone il braccio destro e contribuendo con i suoi progetti di designer allo svecchiamento dell’artigianato sardo. Dal 1962 comincia a insegnare presso l’Istituto d’Arte di Sassari, allora diretto da Mauro Manca, in un clima di forte sperimentalismo che fece entrare la Sardegna nella sfera del contemporaneo. Nel ´65 aderisce al Gruppo A avvicinandosi alla pratica pittorica. Appartengono a quel periodo singolari opere su stagnola le cui rarefatte suggestioni figurative appaiono distanti dalle astrazioni materiche e informali portate nell’isola dallo stesso Manca.

Alcuni anni dopo, nel 1971, produce la serie dei Teatrini, luoghi della rappresentazione percettivamente illusori, quadri scomposti e riassemblati come oggetti dove la tela, sezionata in bande dipinte con un pattern rigato dai colori vivaci, è tesa e incrociata attorno ad un’intelaiatura realizzata da sovrapposizioni di più cornici, a creare uno spazio tridimensionale aperto, senza confini, senza centro né periferia. La cornice diventa essa stessa pittura, e la pittura cornice, in un rapporto di scambio e reciprocità al servizio di una meta-riflessione sull’arte.

Nel ´76 fonda il Gruppo della Rosa, un’operazione artistica collettiva che, circoscrivendo l’indagine a un tema convenzionale e stereotipato come quello della rosa, propone un concettualismo “lieve”, ironico e dissacratorio, lo stesso che, sostenuto da una manualità alla quale non rinuncerà mai, diverrà una costante di tutta la produzione successiva di Contini. È da queste riflessioni che, a partire dal 1977, realizza la serie delle Tautologie, un ciclo di dipinti in cui si coniugano, con maggiore evidenza, manualità pittorica e intento concettuale. Tubetti di colore si stagliano su fondi morbidi di neutri monocromi, circondati da lettere e parole che, “tautologicamente”, indicano il colore del pigmento – carminio, celeste, violetto … – come a voler definire l’essenza stessa, sia fisica che metaforica, della pittura e del pensiero che la sottende.

Seguono, nel 1983, le Piccole tavole, frammenti poveri di legni e cartoni innervati di stucco denso e irregolare, impreziositi da un uso sapiente della materia pittorica. Campiture dense e stratificate di grumi di colore o, alternativamente, velature liquide e trasparenti, accolgono segni, gesti, tracce, bagliori di vita come appunti minimi e discreti. Un elogio della pittura che echeggia anche nei rossi monocromi realizzati a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, variazioni minimali di colore e umori, con cui Contini costruisce uno spazio pittorico senza confini, che riverbera la dimensione emozionale dell’esistenza e si espande senza limiti verso l’esterno. La stessa tematica viene ulteriormente affrontata alla fine del decennio, nel 1989, nella serie delle Vetrate. Il colore trasparente, velato e attraversabile, è sostituito da campiture luminose di smalto rosso, dense, materiche, rigidamente contenute e limitate, all’interno del quadro, da spesse e severe griglie nere. Ma il contenimento del colore è parziale: la sottile cornice nera che circonda il quadro è volutamente incompleta, a tratti interrotta, aperta, e la pittura ancora una volta, si espande verso l’esterno, verso il mondo. È in quest’ottica che negli anni Novanta crea la serie dei Magnificat. Navigatore della storia dell’arte e dell’estetica ne recupera, distillandola, l’essenza teoretica e formale per approdare a un facere che materializza l’idea e trasforma l’oggetto in concetto. Attraverso le icone bizantine – passando per le Maestà di Duccio e di Giotto, per le complesse costruzioni spaziali e filosofiche del tedesco Dürer e del suprematista Malevič, fino alla tradizione dei retabli sardo-catalani a fondo oro –, prendono forma i suoi “retabli domestici”, capaci di confrontarsi con l’hic e il nunc e, insieme, di porsi in una temporalità sospesa e metafisica, in una fusione perfetta di rigore concettuale e prassi operativa e, allo stesso tempo, critica lucida e serrata delle mitologie storiche e artistiche della contemporaneità. Le tavole – un testamento spirituale caratterizzato da un’ostinata laicità – a forma di croci irregolari o frutto di assemblaggi modulari, ricoperte di foglia d’oro e d’argento falso, immutabili nel tempo, rifrangono la luce in un cangiantismo estemporaneo che si intreccia con la mutazione lenta e costante dell’oro falso e dell’argento vero, che tendono a divenire sempre più scuri, caricandosi di arcane valenze simbolico-teosofiche, dove la mistica della luce medioevale si sposa alla prospettiva area e allo studio dei poliedri regolari di pierfrancescana memoria. Così Contini impone alle sue ultime opere una trasformazione in parte programmata e in parte accidentale, una temporalità che trasforma lentamente i rapporti cromatici e introduce elementi contraddittori quali scritte o forme geometriche fortemente semplificate. È l’irruzione di una dimensione storica e critica su una base che si vorrebbe atemporale e fuori dalla storia, eppure attualissima e perennemente in fieri. (Giannella Demuro e Ivo Serafino Fenu)

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