Venerdì, 25 marzo 2022
Si sono commossi, guardati, hanno avuto gesti di affetto l’uno per l’altra. Sono tornati umani, allontanando la dicotomia buoni – cattivi che per anni li ha resi prigionieri: uno delle sue colpe, l’altra del suo dolore. Entrambi del passato. Agnese Moro, figlia di Aldo, politico rapito e ucciso dalle Brigate Rosse, e Franco Bonisoli, tra i brigatisti protagonisti dell’agguato di via Fani, oggi hanno accompagnato alle parole l’esempio, regalando agli studenti del Liceo Classico De Castro di Oristano una fondamentale lezione di vita.
L’occasione è stato l’incontro dal titolo “I testimoni del dialogo e del confronto”, quarto appuntamento inserito nel ciclo promosso dal Dipartimento di storia e filosofia del Liceo e coordinato dalla professoressa Sabrina Sanna su “Gli anni di piombo: una rilettura del passato attraverso la via del dialogo e del confronto”.
Moro e Bonisoli hanno offerto agli studenti un racconto personale, pur intrecciato a quello dell’altro. Un racconto a tratti sofferto, di un lungo percorso che li ha portati a diventare testimoni dei frutti del procedimento di giustizia riparativa, del dialogo e del confronto. Un racconto che la professoressa Sanna ha definito “di abbattimento di muri e costruzione di un ponte, nel quale la vittima e l’ex brigatista diventano persone”.
“La scelta della violenza armata”, ha raccontato commosso Franco Bonisoli, contestualizzando la sua “spinta esistenziale” nel periodo storico vissuto, “passa attraverso il processo terribile di spersonalizzazione dell’altro, senza accorgerti che mentre lo disumanizzi, abdichi alla tua umanità”.
L’umanità e il dolore che entrambi hanno visto e riconosciuto nell’altro durante il percorso, avviato a 31 anni dalla morte di Aldo Moro e durato altri otto anni, con incontri iniziali di una volta al mese, poi divenuti interi fine settimana e poi intere settimane l’anno. Un processo al quale la figlia di Aldo Moro era stata invitata da padre Guido Bertagna e al quale ha deciso di partecipare solo dopo una “garbata insistenza” da parte del sacerdote.
“Intere giornate insieme, parlando, discutendo e litigando”, li ha descritti Agnese Moro, svelando due punti fondamentali di quella esperienza: “Uno spazio scelto, rispettoso, legato a semplici regole dell’ascolto, del rispetto dell’altro e della riservatezza e affrontare il volto dell’altro. Una cosa bellissima e complicata perché apre la porta alla realtà”.
“Incontri i volti che hai già visto giovani nelle gabbie durante i processi”, ha raccontato, ricordando quando anche lei era una giovane di 25 anni e Bonisoli quasi un coetaneo con soli tre anni di meno. “Erano visi orribili perché indifferenti al nostro dolore”.
“Ritrovare questi visi anziani, nei quali è trascorsa la vita, ti fa capire che il passato era ieri”, ha chiarito Moro, ricordando che prima di quel momento ogni giorno manteneva vivo il ricordo di ciò che era stato fatto al padre, coltivando “rabbia e nero” .
“Puoi ascoltare e per farlo devi fare l’operazione di disarmarti, anche dai pregiudizi, e questo l’ho imparato da loro. Ogni cosa che viene detta non è più un peso che affronti da solo”, ha spiegato ancora Agnese Moro. “Si ritorna persone che creano legami di reciproca responsabilità nella vita gli uni degli altri. Si creano amicizie”.
“Ho trasformato il senso di colpa in senso di responsabilità”, ha detto Franco Bonisoli, che ha raccontato il suo percorso di “abbassamento della belligeranza” grazie all’umana apertura verso lui da parte di un direttore di carcere prima e di un sacerdote poi.
Bonisoli ha anche raccontato che pur avendo pagato il suo debito con la giustizia non si sente libero del tutto ma “a sufficienza per poter fare cose belle”.
“Portare la mia testimonianza”, ha spiegato, “lo faccio per senso di responsabilità, anche verso la parte di società che si interessa a questi argomenti”.
In questo caso, i giovani ragazzi del Liceo oristanese, che attenti e silenziosi hanno accolto i racconti di un periodo storico e un clima sociale lontano da quello cui sono abituati. A loro si è rivolto direttamente proprio l’ex brigatista: “La violenza, ragazzi, crea solo altra violenza. La violenza non può creare un mondo migliore”, ha detto, sottolineando anche l’importanza delle parole: “devono essere sempre molto misurate. Noi certe parole che utilizzavamo, poi le abbiamo praticate”.
“L’amore è il potere più duraturo che esista al mondo”, ha ricordato in chiusura agli alunni la professoressa Sabrina Sanna, ringraziandoli per l’attenzione riservata all’incontro. “Ci regalate la speranza che possa esistere un mondo migliore”.
Il dirigente Pino Tilocca ha ringraziato i due ospiti per la loro preziosa testimonianza: “Vi ho voluti ieri a casa mia”, ha detto Tilocca, “perché la condivisione è maggiore nei luoghi degli affetti e oggi siete qui nella nostra comunità scolastica, un’altra casa”.
Un mazzo di fiori deposto insieme – e con lo stesso dirigente Pino Tilocca – ai piedi della targa che ricorda Aldo Moro, nei pressi della scuola, ha chiuso l’iniziativa.
Un forte gesto simbolico, di amicizia e condivisione: degna conclusione di un momento di dialogo e testimonianza intenso e toccante, al quale hanno preso parte insieme alle classi quinte della scuola e agli insegnanti anche numerose autorità.
Stupendo, non ci sono altre parole.
Complimenti dirigente.