Mercoledì, 28 dicembre 2022
È un appuntamento irrinunciabile per l’arcivescovo di Oristano. Anche quest’anno monsignor Roberto Carboni, qualche giorno prima di Natale, ha celebrato messa nel carcere di Massama.
Erano presenti il vicario del prefetto di Oristano Giuseppe Rania, il sindaco di Oristano Massimiliano Sanna, la magistrato di sorveglianza Maria Cristina Lampis, la direttrice dell’UEPE Carla Barontini, insieme alla direttrice Luisa Pesante, al comandante Salvatore Cadeddu e al garante dei detenuti Paolo Mocci. Hanno partecipato alla celebrazione anche alcuni volontari dell’Associazione pro carceri, presieduta da Bruno Bianchina, e i rappresentanti degli Scout adulti di Oristano.
“Nel periodo che ci prepara alla grande festa cristiana della Natività del Signore, del suo Natale, come vescovo cerco sempre di non rinunciare a due appuntamenti importanti: la visita ai malati degli ospedali e la visita ai detenuti, qui a Massama e per quanto possibile a Is Arenas e Isili”, ha detto monsignor Carboni, dando conto della sua presenza nell’istituto penitenziario oristanese. “Questi due ambienti raccolgono persone che soffrono nel corpo e nello spirito: persone segnate da ferite nel loro fisico e altre segnate da altro tipo di ferite, nel loro animo, che hanno bisogno di sentirsi dire una parola di speranza. Questo è il mio compito e per cui sono mandato dal Signore: a dare parole di speranza”.
Roberto Carboni ha annunciato ai detenuti di essere tra loro per portare “spiritualmente le Chiese di Oristano e di Ales, ma anche ognuna delle Chiese a cui voi appartenete, cioè da cui derivate”.
“Qui sono spiritualmente presenti le vostre famiglie, i vostri cari, le mogli, i figli, le madri e le sorelle e fratelli, gli amici: pregano per voi e noi li ricordiamo con affetto nella preghiera. Anche per loro la lontananza e il distacco in questo tempo di festa si fa più duro”, ha detto ancora l’arcivescovo di Oristano, ricordando che “Dio si è identificato anche con i carcerati. Gesù poi carcerato lo è stato davvero, quando dopo il processo di Caifa, passa la notte in una cella… in attesa del giudizio finale”.
“Voi vivete questo Natale in carcere” ha detto ancora monsignor Carboni ai carcerati, “ciascuno di voi ha una storia, un motivo che è alla base del perché siete qui. È un tempo duro, ma che può aiutare a promuovere il riscatto morale e civile. Non deve mancarvi la speranza e neanche la nostra solidarietà nell’offrirvi un futuro diverso, oserei dire felice, perché Dio vuole la nostra felicità”.
L’arcivescovo arborense ha rivolto parole di vicinanza e speranza anche alla direttrice della struttura Luisa Pesante, al comandante Salvatore Cadeddu, a tutta la polizia penitenziaria e a chi opera nel carcere, volontari compresi.
“Mi dà sempre tanta consolazione pensare che nel cuore del carcere ci sia una chiesa, un altare e il tabernacolo. Ma se pure queste realtà non ci fossero, la Chiesa ci sarebbe ugualmente perché la maggioranza delle persone detenute è composta da battezzati”, ha detto don Maurizio Spanu, cappellano del carcere. “Posso testimoniare che non pochi si sforzano di condurre una vita cristiana, prendono coscienza della loro fede, magari rimasta a lungo sopita e nascosta, riscoprendo la propria dignità di figli di Dio”.
“Come cappellano sono a servizio di questo cammino attraverso la celebrazione dei sacramenti e l’accompagnamento spirituale”, ha detto ancora don Spanu.
“Non possiamo negarci che il carcere – per quanto possa esser tragico e scontato dirlo – sia uno dei luoghi in cui nessuno può dirsi a casa. Mai. Non lo può fare chi ci lavora, anche se ci passa tantissime ore spesso con turni estenuanti, e non lo può fare chi è ristretto: anche se scontasse un ergastolo il carcere non sarà mai la sua casa”, ha detto ancora il cappellano. “Allora per noi oggi, per questo luogo non luogo, pensare a Gesù che nasce e pone la sua tenda in mezzo a noi significa anche dire che in quella tenda lui ci offre uno spazio, una dimora accogliente. L’Itaca del nostro cuore errante. Nel cuore di Dio ciascuno di noi può sentirsi sempre accolto e a casa. Così come si trova casa in ciò che è autenticamente umano, in ogni incontro buono, onesto, solidale. Allora il mio augurio a ciascuno di noi è di trovare il nostro spazio accanto a Gesù nella mangiatoia di Betlemme e con Gesù sentirsi sempre a casa”.
Alcuni detenuti, singolarmente o in gruppo, hanno scritto i loro auguri da far arrivare all’esterno del carcere attraverso il settimanale diocesano. Li pubblichiamo integralmente di seguito.
Pensare al Natale significa pensare alla famiglia. Infatti, Gesù nasce in una famiglia, quella di Maria e Giuseppe. Ancora oggi nel Natale le famiglie cristiane si riuniscono per vivere un momento tanto speciale per la nostra fede. Questo aspetto mancherà al mio Natale, sia in quanto detenuto sia in quanto straniero. Starò lontano dai miei cari familiari, ma so che in questo senso non sono solo, perché nel mondo ci sono tante persone sole: gli emarginati, gli abbandonati, tanti anziani. So che anche Gesù bambino ha vissuto l’esperienza dello straniero. Il vangelo di Luca ci racconta che è nato a Betlemme in una mangiatoia, perché per lui non c’era posto nell’alloggio e il vangelo di Matteo ci racconta che, per la paura del prepotente Erode di perdere il proprio potere, Giuseppe ha dovuto proteggere il bambino Gesù e la sua mamma Maria scappando in Egitto, dove vissero come rifugiati. Il re Erode si sbagliava: Gesù non era interessato al potere del mondo, ma solo a farci incontrare la misericordia di Dio e salvarci. So che Gesù è solidale con me ed è solidale con ciascuno di noi. Non ci abbandona mai. Guardare con gli occhi della fede ci fa ricevere tanta forza, tanta consolazione e tanta speranza per cambiare il nostro cammino. Auguri a tutti voi e anche a tutte le nostre famiglie, che ci sostengono sempre, spesso con fatica e sofferenza. Vi auguriamo un Santo Natale e che Dio sia sempre con voi.
Robert
È mio desiderio rivolgere i migliori auguri miei e degli altri detenuti ai lettori di questo giornale e a tutte le persone, che vogliamo portare nei nostri pensieri specialmente in questo periodo di feste, prendendo spunto da una breve riflessione, spero condivisa, sul modo di vivere la relazione con Dio di chi, come tanti di noi, vive da molti anni la detenzione. Ci è stato insegnato, sin da piccoli, che Dio è molto vicino all’uomo, anche al più fragile e peccatore. Volendo usare un’immagine, penso al nostro legame con Lui come qualcosa di simile a un filo cui è legato un palloncino. Per molti di noi, durante il percorso di vita, questo filo si è spezzato. Abbiamo scoperto tragicamente che la vita è anche fatta di errori. Fatti impercettibili si accumulano fino a determinare la svolta o anche fatti ben visibili, di cui però non abbiamo calcolato la portata e le conseguenze, ci hanno catapultati in situazioni spiacevoli, nelle quali, se avessimo riflettuto meglio, mai avremmo voluto trovarci. Questo buio ci ha fatto sentire così allontanati per sempre gli uni dall’Altro e dagli altri.
Passa il tempo nel cercare di dare almeno una parvenza di spiegazione a tutto ciò e, quando tutto sembra sconfinare nell’oblio più totale, ci si accorge che il filo con l’Altro e con gli altri che si era spezzato e che credevamo ci portasse irrimediabilmente lontano da Dio in realtà si accorciava sempre di più ogni volta che consentivamo a Dio e agli altri di riannodarlo. È il momento in cui si inizia a sperare, a problematizzare il presente tenendo bene a mente il passato. È qui che riprendi a vivere e inizi a credere di potercela fare … sempre!!! Con questa consapevolezza acquisita vogliamo rivolgere i nostri auguri soprattutto alle persone che in qualche modo si sentono prigioniere di qualcosa. Purtroppo sappiamo, attraverso le informazioni che ci arrivano dai media, che esistono tanti tipi di prigioni: quella morale, quella dell’ignoranza e della subcultura e, ancora più dura, quella dell’anima. C’è addirittura chi è prigioniero dei pregiudizi verso gli altri o degli altri verso di lui. Tutto questo non aiuta certo a vivere in amore e pace con gli altri e soprattutto con sé stessi. La fede in Dio non annulla queste difficoltà esistenziali, ma aiuta a dare un senso. Pertanto vorremmo augurare a tutti e soprattutto ai più prigionieri un incontro felice con Gesù Cristo, affinché ritrovino serenità, gioia e speranza per un futuro molto più luminoso e autenticamente libero. Pregheremo affinché questo avvenga per tutti. Auguri di buon Natale e felicissimo anno nuovo!
Francesco
Per il Natale 2022 lo spirito con il quale i detenuti del mio reparto si sono preparati nel tempo dell’Avvento è stato quello dell’inclusione e della condivisione: tale è stato allestire il presepio particolarmente dedicato a Maria, madre nella Sacra Famiglia e donna che accoglie tutti come suoi figli, alla riscoperta dei valori dello stare insieme. Quanto realizzato riveste il carattere della fratellanza con la quale cerchiamo di mantenere intatta la fiducia accordata. Il presepe in carcere non è solo tradizione o consuetudine, ma soprattutto un momento di comunione tra persone unite dallo stesso disagio. Intorno al presepe si verificano tanti piccoli miracoli.
Quest’anno uno va menzionato perché racchiude in sé il messaggio di Gesù. Gli autori dell’opera avevano pensato di realizzare delle luminarie lungo il percorso verso la grotta. Pensavamo quali elementi fissi per la struttura di servirci degli ziti, ma da un po’ di tempo questo tipo di pasta non è più disponibile, quindi ci siamo chiesti se qualcuno potesse averne ancora, anche se è difficile che se ne potesse privare, considerata la penuria. Invece, un detenuto, ascoltando la conversazione, ha offerto il mezzo pacco che gli è rimasto. Quelli erano i suoi ultimi 25 ziti (il numero 25 è quello reale della quantità di ziti rimasti nel pacco. E crediamo che non sia una mera coincidenza, se Gesù per convenzione è nato il 25…) e li ha donati ai compagni per il presepe, rinunciando al suo piatto di pasta. “Tanto più valore assume l’offerta, quanto meno si possiede”.
Questo gesto, unito a tanti altri simili, per noi è il miracolo del Natale, ed è lo spirito che vuole infondere la nostra rappresentazione della natività. Abbiamo pensato infatti di dedicare il presepe a Maria, per le sempre più insopportabili notizie delle violenze sulle donne e dei diritti loro negati. Se gli uomini pensassero che ogni donna è la madreo la sorella, se si accorgessero che ognuna di quelle donne è Maria, quella mamma a cui tutti nella disperazione ci rivolgiamo per chiedere aiuto, allora ogni uomo che possa dirsi tale si impegnerebbe affinché la donna viva sempre in una condizione paritaria e soprattutto di libertà. Parafrasando Primo Levi quando scrive “Se questo è un uomo…”, chi usa violenza su una donna dovrebbe dire di sé “Io non sono un uomo”. La Madonna ha ricevuto la più grande violenza che una donna possa ricevere: le hanno ucciso il figlio, nostro Signore Gesù. Così è stato fin troppo facile ispirarci a Lei quale espressione della natività, per una rinascita colma di speranza verso un futuro da uomini migliori. Maria rappresenta tutte le donne del mondo che amano incondizionatamente, e per questo: Nessuno tocchi Maria!
Un gruppo di detenuti