Mercoledì, 2 agosto 2023
Era il 1958 quando si diede il via al primo scavo “ufficiale” nei mari della Sardegna. Sui fondali dell’arcipelago de La Maddalena, nei pressi dell’isola di Spargi, venne ritrovato un relitto, quello di una nave da carico risalente all’epoca romana (120 a.C.).
Nascondeva uno straordinario carico di anfore da vino. E poi ceramiche campane, amuleti, fiches da gioco, oggetti da toeletta e e ceppi d’ancora in piombo. Oggi quei preziosi reperti sono custoditi nel museo di La Maddalena (al momento chiuso per ristrutturazione) intitolato a Nino Lamboglia, l’archeologo che col Centro sperimentale di Archeologia Sottomarina, dell’Istituto di Studi Liguri, guidò la campagna a metà del secolo scorso. Fu la prima di tante altre.
“La Sardegna nasconde nei suoi 1849 km di coste un immenso e variegato patrimonio culturale che è databile dalla preistoria sino ai giorni nostri. Questo si è formato poiché l’isola è sempre stata crocevia di traffici mercantili e interessi politici”, ha spiegato l’archeologo subacqueo di Olbia Simone Falqui. “L’archeologia subacquea è una disciplina che si sta sviluppando negli ultimi anni e sta apportando, alla ricerca storico-archeologica, un grande contributo. I siti archeologici subacquei, con i loro materiali, permettono di comprendere in maniera precisa gli scambi culturali avvenuti nei millenni”.
Al Nord tra i relitti
Sono molte le campagne di scavo che hanno interessato il Nord della Sardegna, isola, nei millenni, al centro delle rotte marine. A Olbia, ad esempio, fu imponente, per i suoi numeri, il tesoro riportato alla luce nel porto: il museo archeologico della città offre l’opportunità di fare una passeggiata nella storia tra i resti dei 24 relitti di epoca romana e medievale recuperati negli anni ‘70. E’ il primo in Italia per numero di antiche navi esposte. Le riproduzioni a grandezza naturale danno la possibilità di comprendere meglio i reperti.
Il Museo archeologico di Olbia è aperto dal martedì alla domenica dalle 8 alle 13 e dalle 16 alle 19.
Spostandosi ad Alghero, il Musa, il museo archeologico locale, offre un interessante spaccato sul profondo legame della città del corallo con il mare. Si parte dal relitto romano individuato nel litorale di Mariposa, una nave romana sorpresa da una violenta mareggiata nel I secolo d.C. e affondata nelle acque algheresi con il suo carico di coppette di fine ceramica.
Si fa un salto fino al medioevo con il relitto di capo Galera, dal quale proviene l’elegante giara in terracotta: questa sarebbe stata realizzata in Andalusia tra il XII e la prima metà del XIII secolo, periodo nel quale la Spagna Meridionale era sotto la dominazione della dinastia musulmana berbera degli Almohadi.
Il relitto, scoperto nel 1995 nell’insenatura di capo Galera, giace attualmente a poco più di 5 metri di profondità, tra le foglie rigogliose della poseidonia.
Risalente invece al periodo post medievale l’altro relitto individuato sempre nella zona di Mariposa, tra il 1988 e il 1989: costruito circa un secolo prima del suo naufragio avvenuto tra il XV e il XVI secolo, presenta la struttura tipica delle caracche, meglio conosciute come caravelle.
Gli oggetti rinvenuti raccontano degli spaccati di vita dei marinai durante il loro lungo peregrinare sulle rotte commerciali: un rosario di legno, barili contenenti sardine sotto sale, una pentola e un set per l’igiene personale.
Le meraviglie del Museo di Alghero sono visitabili il lunedì e mercoledì dalle 10,30 alle 13 e il martedì e giovedì dalle 17,30 alle 20. Dal venerdì alla domenica si seguono aperto sia di mattina che di pomeriggio dalle 10,30 alle 13 e poi dalle 17,30 alle 20.
Nel Centro Sardegna tra reperti e città avvolte nel mistero
Viaggiando verso Sud, si arriva nelle acque dell’Isola di Mal di Ventre, sulla costa di Cabras, frustate dall’incessante impeto del maestrale, dove il mare per secoli ha custodito una nave di età romana, entrata nel novero delle scoperte più significative per la particolarità del suo carico, costituito da un migliaio di lingotti di piombo.
Tutti dal peso di circa 33 chilogrammi, i preziosi reperti sono dotati di un cartiglio, che riporta il nome dei produttori, ed erano probabilmente partiti da Sierra di Cartagena, nell’attuale Spagna, con meta Roma. Nella nave scoperta nel 1989 sono stati recuperati, inoltre, quattro ceppi di ancora, scandagli, macine, anfore, chiodi, proiettili e una moneta.
A custodire questi tesori, in una sala ad essi dedicata e inaugurata nel 2008, è il Museo civico “Giovanni Marongiu” di Cabras, aperto tutti i giorni dalle 10 alle 19 e che ospita anche i famosi Giganti di Mont’e Prama.
Trenta lingotti, invece, dopo duemila anni nelle profondità marine, sono stati spediti ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), situati sotto 1400 metri di roccia della catena appenninica.
Per la purezza del loro piombo, i lingotti hanno trovato un nuovo scopo nell’esperimento CUORE, che mira a dimostrare il rarissimo fenomeno fisico del doppio decadimento beta senza emissione di neutrini. Si tratta di un processo in base al quale, all’interno di un nucleo, due neutroni si trasformano in due protoni, emettendo due elettroni e due antineutrini. L’esperimento potrebbe dimostrare la possibilità di una transizione tra materia e antimateria. Un’importante occasione in cui storia e scienza si sono unite per guardare al futuro.
Riportando lo sguardo verso il passato e spostandosi verso San Giovanni di Sinis, la città di Tharros e il suo entroterra continuano a stupire con i diversi ritrovamenti. Fondata dai Fenici nell’VIII secolo a.C. nelle vicinanze di un villaggio nuragico, sviluppò e ingrandì sotto il governo di Cartagine, diventando uno snodo importante nelle rotte commerciali.
Con la conquista romana continuò a fiorire, con la costruzione delle terme, l’acquedotto e la rete stradale. La crisi arrivò con la caduta dell’impero romano e le numerose incursioni musulmane.
Oltre ai pregiati monumenti, quali i tempi, le terme, le fortificazioni e gli antichi resti nuragici visitabili nel sito (seguendo gli orari riportati qui), a destare curiosità è il suo porto. Non essendo mai stato individuato a causa dell’assenza di strutture monumentali, negli anni si sono susseguite numerose teorie.
C’è chi suppone ne siano esistiti ben due. Chi lo colloca invece sul lato del golfo di Oristano. Negli ultimi anni tuttavia è stata avviata una campagna di scavi subacquei nella laguna di Mistras, localizzata a nord della città punico-romana, che in antichità si suppone avesse una conformazione perfetta per offrire riparo alle navi.
Durante le ricerche, partite nel 2003, sono state individuate diverse strutture sommerse. Nel 2009 gli scavi hanno interessato un muro, liberandolo dai sedimenti per oltre 4 metri d’altezza.
Un altro porto gli archeologici lo hanno ricercato e lo ricercano nello stagno di Santa Giusta: potrebbero essere i resti di un’altra importante città fenicia, Othoca. Nel 2016 proprio nelle acque dello stagno è stato calato un particolare robot, capace di osservare i fondali con un ecoscandaglio.
I test sono nati da una collaborazione tra l’Ismar Cnr di Bologna, il Consorzio Pro ambiente, l’Iamc di Torre Grande, l’Università’ di Cagliari, la Sovrintendenza della Sardegna e il Comune di Santa Giusta. Sono state ritrovate alcune anfore spedite a Cagliari per analisi più approfondite. In precedenza erano stati individuati i resti di un molo di legno (2007) e la testa della statua di un satiro, dal naso schiacciato, le labbra carnose e una montagna di riccioli (nel 2015).
Attualmente conservato in un deposito protetto della Soprintendenza di Cagliari, il satiro di Othoca, come è stato denominato, ha fatto una breve tappa a Santa Giusta in occasione della regata de Is Fassois del 2015.
Nonostante gli scavi a Santa Giusta siano attualmente interrotti, una passeggiata nel paese permetterà di scoprirne la storia, partendo dalla chiesa di Santa Severa, costruita sulla necropoli risalente seconda metà del VII sec. a.C.-inizi VI sec. a.C, e il ponte romano sulle rive dello stagno.
Al sud tra musei e i resti di un’antica città
Anche le acque dei meridionali della Sardegna offrono la possibilità di fare un vero e proprio tuffo nella storia, ma senza bagnarsi, perché nei musei del territorio sono presenti tanti reperti di archeologia subacquea. È il caso del museo archeologico di Villasimius, che dedica una parte dell’esposizione ai reperti rinvenuti lungo la costa, con ricostruzioni degli ambienti originali a fare da scenografia agli oggetti trovati nei relitti delle navi fenicie e puniche, nonché dei carichi delle imbarcazioni di età romana e vandala.
Interessante la parte dedicata ai ritrovamenti del relitto dell’Isola dei Cavoli, una nave spagnola naufragata intorno intorno al XV secolo mentre si dirigeva presumibilmente verso la Sicilia o la Puglia. Il suo carico era particolarmente prezioso, perché composto da “azulejos”, caratteristiche mattonelle decorate con smalto blu e bianco.
È possibile ammirare le bellezze del museo di Villasimius dal martedì alla domenica dalle 9 alle 13 e dalle 18 alle 21.
Anche il museo archeologico nazionale di Cagliari dà spazio ai reperti subacquei: tra i suoi corridoi si possono trovare numerose terrecotte rinvenute nella località Su Moguru nel 1891. Oltre alle anfore contenenti resti di animali, noccioli e coni di pino, la maggior parte dei ritrovamenti è composta da maschere, volti, parti del corpo quali mani e piedi e animali, prodotti con degli stampi.
Esattamente un secolo dopo, durante i lavori di dragaggio del molo di Ponente, fu invece ritrovata una testa che potrebbe raffigurare Ermes e alcune mani: questo e molto altro si può scoprire al museo tutti i giorni dalle 8,45 alle 19,45.
Spostandosi a Pula il museo archeologico comunale “Giovanni Patroni” è dedicato a uno dei gioielli dell’Isola: l’antica città di Nora, a ridosso della costa. Primo centro fenicio in Sardegna, finì sotto il dominio punico prima e quello romano poi, con il quale raggiunse il suo massimo splendore.
Ricca di resti di edifici, il sito archeologico è un museo a cielo aperto che va a inabissarsi nelle profondità marine. È proprio dalla costa che proviene la ricca collezione ospitata dalla sezione dedicata ai recuperi subacquei, dove trovano dimora anfore, ancore, ceramiche puniche e romane.
Il museo non è attualmente visitabile, tuttavia la zona archeologica di Nora è fruibile con gli orari indicati in questo link.
I gioielli dell’età contemporanea
Le profondità marine non nascondono solamente gioielli provenienti dalle epoche più antiche, ma anche relitti di navi di secoli più vicini ai giorni nostri. Che fossero mercantili o belliche utilizzate durante le due guerre mondiali, queste imbarcazioni hanno trovato la loro fine nei mari dell’Isola, diventando dei punti di interesse per i sub e dei santuari per le creature marine.
Guardare, ma non toccare
Proprio come accade in superficie con i furti di sabbia e conchiglie, anche le profondità marine e i loro tesori sono spesso saccheggiati.
Come gli altri beni archeologici, i reperti subacquei sono tutelati dal Codice Urbani del 2004 e per questo sono proprietà dello Stato. “Chiunque trovi materiale archeologico durante una passeggiata sulla spiaggia o un’immersione deve curarsi di non toccarlo e denunciarne il rinvenimento entro 24 ore alla soprintendenza locale o al sindaco o ai carabinieri”, spiega ancora l’archeologo Simone Falqui, che traccia delle linee guida per il corretto comportamento da tenere in presenza di un reperto.
“Solo nel caso in cui si tema che il bene culturale possa essere portato via, o in qualche modo danneggiato, si potrà prelevarlo e portarlo alle autorità, facendo molta attenzione a tener a mente il luogo in cui è stato rinvenuto. È molto importante ricordarsi da dove proviene il bene poiché il suo valore sta proprio nell’apporto che, unito alle ricerche sul sito, riesce a dare alla ricerca scientifica”.
[ Progetto realizzato in collaborazione con l’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna ]