Dalla Marmilla al Barigadu alla scoperta della regina della tavola: la pasta tradizionale

Trafilata, lavorata a mano, in brodo o ripiena è capace di far rivivere i sapori di casa

La preparazione dei culurzones de patata di Ardauli

Mercoledì, 23 agosto 2023

Sono sapori che sanno di casa, creati dalle sapienti mani delle nonne, che di generazione in generazione tramandano questi tesori di un tempo: la pasta è la regina delle famiglie sarde e nell’Oristanese, dalla Marmilla al Barigadu, continua a conquistare tutti i i palati.

La parola d’ordine è senz’altro “semplicità”. I pochi ingredienti, tra i quali anche qualcuno segreto e legato alle tradizioni familiari, si fondono per creare piatti legati indissolubilmente alla storia delle comunità.

Le lorighittas

Il viaggio alla scoperta della pasta dell’oristanese parte da Morgongiori, paese immerso nel cuore della Marmilla sotto lo sguardo vigile della “testa del guerriero”, una suggestiva scultura naturale. Uniche nel loro genere, le lorighittas sono veri e propri gioielli, ormai divenuti famosi in tutta l’isola per il loro pregio e la particolare forma.

Ogni lorighitta nasce da una sorta di spaghetto, che viene avvolto con due giri intorno a due dita, quindi attorcigliato su se stesso e fermato comprimendo e tagliando i due estremi tra l’indice e il pollice, creando senza alcun attrezzo, ma tanta meticolosità, un forma simile a quella di un orecchi, dalla quale deriva l’emblematico nome.

Gli ingredienti sono solamente tre: semola di grano duro di media grandezza, sale e acqua,  lavorati nella tipica scivedda, la ciotola di terracotta immancabile nelle case di tutte le nonne.

Amalgamando il tutto con pazienza e olio di gomito si dà vita a un impasto da lavorare sulla tavola di legno. Una volta porzionato, si procede dunque alla creazione delle lorighittas e il loro prezioso intreccio.

La pasta viene disposta in su caisteddu, il tradizionale cestino sardo, e lasciata ad asciugare dai tre giorni a un’intera settimana, a seconda della stagione. Dopo la cottura in acqua bollente salata, possono essere condite con un sugo di pomodoro con o senza carne o in abbinamento al brasato.

Per tutelarne la tradizione, la fondazione “Slow Food” le ha inserite nel 2023 nell’Arca del gusto, che riunisce le principali testimonianze agroalimentari da preservare per la loro storia e genuinità. 

Legate a doppio filo con le tradizioni di Morgongiori, le lorighittas hanno fatto da collante sociale e sono entrate nel cuore della comunità. In passato era tradizione che le donne si riunissero nei giorni antecedenti alla festa di Ognissanti del 1° novembre per preparare con spirito conviviale questa particolare pasta e i sughi per arricchirla, da servire in occasione della ricorrenza.

Dietro alle lorighittas si nasconde anche una curiosa leggenda, che i genitori del paese erano soliti raccontare ai propri figli come spauracchio. Si raccontava infatti che una strega dal nome “Maria Pungi Pungi”, andasse di casa in casa a bucare la pancia dei bambini che, con golosità, avevano mangiato troppa pasta.

Se la strega era solo frutto delle leggende popolari, quel che è certo è che le lorighittas sono una tradizione radicata a Morgongiori, tanto che il Comune ha deciso di celebrarle con una Sagra, giunta ormai alla XXVII edizione e svoltasi il 5 e 6 agosto scorsi.

Morgongiori non è però famosa solamente per la sua “pasta gioiello”, ma anche per le pregiate produzioni tessili. Tappeti, arazzi e bisacce nati dagli antichi telai sono custoditi presso il Muvat, il museo vivente dell’arte tessile, che ha da poco riaperto i battenti dopo dei lunghi lavori di restauro. In mezzo alla natura selvaggia si ergono numerosi siti archeologici, quali il menhir Su Furconi e due domus de Janas, sa Sala e su Forru, le tombe romane s’Omu e s’Orcu e il tempio ipogeico nuragico detto sa Scala ‘e Cresia.

Su succu

Dalla Marmilla al Barigadu, a Busachi con un piatto dai sapori decisi: su succu. Nonostante la semplicità dei suoi ingredienti, presenta una preparazione piuttosto complicata.

Si parte dalla finissima pasta di semola tagliata a striscioline e lasciata ad asciugare, cotta in un brodo bollente di pecora in una padedda, una pentola tradizionale per la preparazione de su succu. Una volta pronti i tagliolini, si aggiunge la giusta dose di casu aghedu, un pecorino fresco e acido, disposto in fette lungo la superficie, e l’oro della cucina, lo zafferano, disciolto nel brodo. È dunque il momento di spegnere il fuoco, coprire la pentola per lasciar riposare su succu, che andrà servito su un piatto tagliato a fette.

Dato il costo elevato dei suoi ingredienti, su succu era il piatto delle feste, da cucinare esclusivamente in occasione delle celebrazioni più importanti, quali per esempio sa Pasca Manna (la Pasqua), Paschixedda (Natale) e i matrimoni.

Proprio per riprendere la tradizione che vuole su succu come una pietanza da consumare nei giorni di festa, in occasione della Sagra de Su Succu curata dall’associazione “Collegiu” di Busachi e giunta alla XXII edizione, si rievocano antichi riti legati ai matrimoni tradizionali busachesi.

La pasta de su succu

Si parte dalla rappresentazione storica de “Su Presente”, ovvero il doppio corteo di donne che percorrendo le vie del paese, portavano sul capo dei grandi canestri ricolmi di pane e pasta de su succu e le corbule piene di dolci per omaggiare il giorno prima delle nozze i futuri sposini, in attesa presso la loro nuova casa. Questo momento dà il via alle cerimonie del matrimonio busachese, colorato dai preziosi abiti tipici del borgo del Barigadu.

Capoluogo medievale del Barigadu, Busachi saprà catturare lo sguardo con il rosa dei suoi edifici di trachite. Oltre alle meravigliose chiese di Santa Susanna, San Domenico, San Bernardino e Sant’Antonio da Padova e la cappella di Santa Maria Maddalena, presenta una ricca eredità archeologica preistorica con la necropoli di Campu Maiore e le sue 24 domus de janas.

Sos culurzones de patata

Ad Ardauli è un’erba spontanea a rendere speciale la pasta più tipica, ovvero i culurzones de patata. Nel gustoso ripieno a base patate e pecorino stagionato di questi prelibati ravioli spicca “sa nebidedda”, una cultivar di origano che prima cresceva spontanea nelle campagne e ora riempie di profumo i giardini degli ardaulesi.

Tutto nasce dall’unione della semola, l’acqua e il sale, che impastati e lavorati insieme danno origine a delle sottilissime sfoglie, pronte ad accogliere il ripieno di patate lesse schiacciate, olio d’olivo o strutto, e pecorino e nebidedda in abbondanza. Il pecorino dà inoltre sapore al condimento, a base di un sugo leggero di pomodoro.

I culurzones non erano solamente il piatto della festa, ma anche quello che aspettava sulla tavola i lavoratori di ritorno da una lunga giornata di fatica nelle campagne.

Si sa, un raviolo tira l’altro, perciò gli ardaulesi sono diventati famosi nei paesi vicini proprio per le zuppiere stracolme di culurzones consumati nella località di San Quirico per festeggiare.

Ancora oggi, nella piazza del novenario campestre a ridosso del lago Omodeo, in occasione dei festeggiamenti in onore dei santi Quirico e Giulitta, nel mese di agosto, si svolge la “Sagra de sos culurzones de patata e de s’ortau”, piatti tipici della tradizione ardaulese, che hanno inoltre il riconoscimento di prodotti tipici esclusivi.

Immerso nel fertile territorio sulle sponde del lago Omodeo, Ardauli è un piccolo borgo ricco di fascino, suggestivi scorci modellati dal vento e natura incontaminata. Tra gli edifici più suggestivi spicca la chiesa parrocchiale di Santa Maria la Guardia con il suo grande rosone e la torre campanaria del ‘700. Spostandosi nelle campagne è possibile visitare la chiesetta campestre di San Quirico e i suoi muristenes le piccole dimore adibite ad abitazioni durante i giorni di festa dedicati al santo.

Sos Cannisones

A Ula Tirso, paese che si affaccia sul lago Omodeo e sulla vecchia diga di Santa Chiara la pasta più amata ha una forma molto particolare: quella di tante piccole canne, dalle quali deriva il nome cannisones.

Anche in questo caso si parte dai tre semplici ingredienti, ovvero semola, acqua e sale, lavorati a mano per ottenere una pasta fresca. Questa viene poi passata in una sorta di torchio – arrivato sino a noi dopo anni e anni di efficiente utilizzo – che dà la tipica forma a cilindro bucato, simile a un bucatino.

Ad accompagnare sos cannisones è sa bagna, un gustoso sugo di pomodoro, con sopra una spolverata di pecorino stagionato, rigorosamente acquistato dal pastore, se si vuole gustare al meglio la tradizione.

A fine estate Ula Tirso apre le sue porte per poter degustare sos cannisones con la sagra curata dalla Pro loco in collaborazione con il Comune e l’Unione dei Comuni del Barigadu a loro dedicata, nella quale si potranno scoprire i segreti della loro preparazione e tutto il loro gusto. 

Immerso nei panorami fluviali del Barigadu, Ula Tirso sorge sulle riva sinistra del Tirso tra la trachite. Famoso per la diga di Santa Chiara, ormai dismessa con la costruzione della diga Eleonora d’Arborea, ma che ha dato vita al bacino artificiale del lago Omodeo, è il primo paese della Sardegna a usufruire dell’energia elettrica. Ricco di tradizioni, Ula Tirso è un paese ricco di festività molto sentite dalla comunità, come Santa Lucia il 13 dicembre, Sant’Antonio Abate a gennaio con i suoi fuochi il carnevale con le maschere s’urtzu e sos bardianos e i riti della Settimana Santa con il rito de s’iscravamentu.

[ Progetto realizzato in collaborazione con l’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna ]

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