Mercoledì, 20 settembre 2023
Legato a doppio filo con l’identità dell’Isola e i suoi abitanti. Amato sin dai tempi più remoti addirittura dagli antichi romani. Apprezzato e diffuso in tutta la Penisola e oltre, è il principe dei taglieri e un fine pasto immancabile: il formaggio sardo è il fiore all’occhiello della tradizione gastronomica isolana.
Prodotto di punta di aziende sempre più specializzate, il formaggio sardo è il frutto di una storia millenaria e di processi in continua evoluzione, che hanno come comune denominatore la genuinità.
Dal nord al sud dell’Isola sono numerosi i formaggi prodotti nei diversi territori: da quelli lavorati con latte ovino, fino a quelli di latte vaccino e di capra.
Oltre ai ben più conosciuti pecorini sardo e romano e al fiore sardo, tutti e tre con denominazione DOP e comuni a tutte le tradizioni isolane, e al casizolu, i piccoli centri propongono tante eccellenze meno note, ma molto gustose.
È il caso della Greviera di Ozieri, del formaggio di pecora nera di Arbus, del pecorino di Osilo e del pecorino di Nule. Anche l’Oristanese, come zona centrale dell’Isola propone un crocevia di sapori: si parte dal casizolu del Montiferru, fino a “sa fresa” e “sa trizza”, passando ai formaggi aromatizzati alle erbe e al mirto, arrivando alle eccellenze caprine della Marmilla.
I pecorini
Con tante varianti quanti sono i gusti degli abitanti e dei popoli che l’hanno fatto nascere, il pecorino è uno dei formaggi ovini più amati.
Si parte da quello romano, che dal suo arrivo sull’Isola nell’Ottocento si è affermato tra i consumatori, tanto da guadagnarsi il marchio DOP nel 1996. Prodotto con latte di pecora intero, questo formaggio si presenta in forme cilindriche, con un peso che varia dai 20 ai 35 chili, la cui pasta bianca o più tendente al giallo è custodita da una crosta color avorio o paglierino, nella quale è immancabile il prestigioso marchio.
Il suo sapore varia dal lievemente piccante al sapido nella sua declinazione di formaggio da tavola, con stagionatura di cinque mesi, fino al piccante più intenso dato dagli otto mesi di stagionatura, che lo rendono ideale grattugiato per arricchire i piatti.
Un altro gioiello della gastronomia isolana è il pecorino sardo. Anch’esso insignito del prestigioso marchio DOP nel 1996, è prodotto con latte di pecora intero e si divide nelle due tipologie di dolce e maturo. Tale categorizzazione dipende dai tempi di stagionatura: per il pecorino sardo dolce bastano dai 20 ai 60 giorni con forme da 1 a 2,3 chili, mentre per quello maturo si va dai due mesi in su e un peso variabile dal 1,7 ai 4 chili.
Se la prima tipologia presenta una pasta bianca, morbida elastica e un sapore dolce o leggermente acidulo custodito da una crosta liscia di colore bianco tendente al paglierino; la seconda ha una consistenza più compatta, talvolta con una certa granulosità, e un gusto più piccante.
Nel Sassarese sono due le varianti più conosciute, il pecorino di Osilo e quello di Nule. Noto come Casu fatt’a fogu (“formaggio prodotto con il fuoco”), la variante osilese è diffusa nella Nurra e nei paesi di Nulvi, Codrongianos, Tergu e naturalmente Osilo.
Prodotto dalla denominazione di Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Sardegna (PAT), è ancora oggi lavorato con metodi artigianali nelle piccole realtà pastorali o direttamente in casa.
Cotto in grandi caldaie di rame con l’utilizzo del latte proveniente dalle mungiture della sera o della mattina, è un pecorino di forma cilindrica, che si presenta sia fresco dal sapore dolce, che sapido e leggermente piccante quando la stagionatura supera i sei mesi.
Con la sua pasta gialla o biancastra, il pecorino di Nule è una specialità di questo centro del Goceano e i suoi paesi limitrofi. Le sue forme, dal peso che varia dai 2,5 ai 3,5 chili, stupiscono con un odore e un sapore intenso che riporta alla mente l’aroma del latte di pecora. Anche in questo caso il sapore è più piccante con delle stagionature più lunghe.
Un fiore ricco di gusto
Amato in tutta l’Isola il fiore sardo affonda le sue radici nel cuore della Sardegna, nel centro nuorese di Gavoi, paese bandiera arancione del Touring Club Italiano. Insignito del marchio DOP, questo apprezzatissimo formaggio viene prodotto con latte di pecore di razza sarda, generalmente nei mesi primaverili e invernali.
Dietro a questo nome così poetico una storia fatta di tradizioni: fino a non molto tempo fa, infatti, nei processi di lavorazione venivano impiegate delle pischeddas, degli stampi cilindrici di legno, sul cui fondo erano scolpiti dei fiori. I più gettonati erano i gigli e gli asfodeli.
Forma cilindrica con i lati particolarmente convessi, ha un peso medio di 3,5 chili. La crosta si presenta sui toni del marrone e del grigio, rugosa, sottile e untuosa, e racchiude una pasta rigida e secca che va dal bianco all’ambrato.
All’assaggio duro e consistente, il fiore sardo presenta degli aromi affumicati e speziati, con dei sapori decisi, lievemente aciduli e tendenti al piccante nei prodotti più stagionati.
La pasta filata: sua maestà su casizolu
Presenti sull’Isola sin dal 1200, i formaggi a pasta filata presentano una caratteristica forma di pera, sormontata da una testa a forma di “cappello di prete” o rosetta. Di questo gruppo, che comprende anche mozzarelle, cacio cavalli e provoloni, fa parte il casizolu, nella sua variante con latte di vacca e di pecora.
Diffuso in tutta l’Isola, tra i casizolus di latte vaccino è particolarmente rinomato quello del Montiferru, prodotto nei territori di Santu Lussurgiu, Scano Montiferro, Bonarcado e Cuglieri e protetto da presidio Slow Food.
I suoi nomi variano a seconda del contesto geografico: oltre a casizolu, si hanno tittighedda, figu, fighedda, sa buledda, sa zucchitta e peretta.
Lavorato tradizionalmente dalle donne con il latte appena munto, questo formaggio nasce dall’impasto della cagliata bollente con delle tecniche minuziose, ma laboriose, dalle quali scaturiscono queste preziose forme dal peso variabile dai 500 grammi ai 3 chilogrammi.
La crosta si presenta sottile e di colore giallo paglierino e avvolge una pasta compatta, liscia, elastica e morbida, la cui consistenza risulta più dura a seconda della stagionatura, che dona un sapore particolarmente intenso e gustoso dopo 8 mesi.
Anche la variante del casizolu prodotta con latte ovino è particolarmente apprezzata per il suo gusto dolce, lattico e leggermente acidulo.
Prodotta in particolare nei territori di Nuoro e del Goceano, questa preziosa “pera”, il cui peso varia dai 750 grammi agli 1,5 chili, presenta un colore una crosta sottile e liscissima con una pasta tenente al giallo paglierino.
I gioielli di latte vaccino
Insieme al casizolu, i formaggi di latte vaccino più amati in Sardegna sono sa fresa, sa trizza, il dolcesardo e la greviera di Ozieri.
Diffusa in tutto il territorio regionale con particolare concentrazione nei paesi montani del Montiferru, sa trizza è un formaggio fresco – da consumare entro tre giorni – modellato a mano fino all’ottenimento della tipica forma a treccia.
Per ottenere formaggi che seguano la tradizione, si utilizza il latte delle vacche di razza sardo-modicana, lasciate libere di pascolare allo stato brado, allo scopo di donare al prodotto un gusto inconfondibile.
Altro prodotto tipico del Montiferru, diffuso anche nel Marghine e nella Planargia, è sa fresa, un formaggio a pasta molle tradizionalmente prodotto nel periodo autunnale, tanto da essersi valso l’appellativo di “fresa de attunzu”.
Dal sapore acidulo e un odore che ricorda quello del burro, sa fresa si presenta con una forma cilindrica schiacciata o più raramente quadrata con spigoli arrotondati e un peso dagli 1,5 ai 3 chili.
Altra perla dell’Oristanese, il dolcesardo di Arborea, formaggio a pasta molle da tavola con breve stagionatura. Con pezzatura è di 1,3 chilogrammi con una crosta sottilissima bianco avorio, dal gusto dolce e delicato e un aroma che ricorda il burro.
Spostandosi a Ozieri (qui un viaggio alla scoperta delle sue bellezze), a farla da padrone è la greviera (nota anche come “griviera” o “gruviera”), un formaggio di latte crudo vaccino a pasta semicotta.
Le forme dal sapore delicato hanno un peso dai 2,5 ai 4 chili, con una crosta consistente lievemente rugosa e assume dei toni più scuri con la stagionatura. All’assaggio è delicato, con delle note amarognole nelle forme più giovani e più piccanti in quelle più stagionate.
Di casu in casu
Da quello axedu, passando per quello in filixi e friscu e quello cun s’axridda, i formaggi ovini e di capra sono tra i più apprezzati sull’Isola.
Si parte con l’axridda, formaggio prodotto esclusivamente ad Escalaplano (qui il link per un tour tra le sue bellezze), che deve il suo nome all’impiego di polvere d’argilla, particolarmente diffusa nel sud Sardegna e cosparsa sulla sua superficie durante il processo di stagionatura.
Confezionato con latte crudo proveniente da pecore o capre allevate al pascolo tra erbe spontanee aromatiche, ha una forma cilindrica dai 2 ai 4 chili che tende al grigio con l’asciugatura dell’argilla. La crosta è rugosa e asciutta e custodisce una pasta semidura e friabile, con odori che riportano al profumo del fieno e un sapore acidulo, piccante e sapido al punto giusto,
A pasta fresca o stagionato e conservato in salamoia, il casu axedu è prodotto sopratutto nelle aziende pastorali, anche se attualmente diverse aziende si stanno specializzando nella sua lavorazione.
Le sue piccole forme di parallelepipedi irregolari dal peso di 150-300 g, hanno un aroma che varia a seconda delle specie ovine utilizzate per la mungitura, Il sapore varia dall’acido nel prodotto fresco al salato in quello stagionato.
Nonostante “casu axedu” sia l’appellativo più diffuso, presenta numerosi nomi, tra i quali fruhe, merca, fiscidu, viscidu, ischidu, bìschidu, vischidàle, préta, casàdu, cagiadda, casu e fitta, latte cazàdu e latti callàu.
Diffuso nei comuni di Seulo, Olzai, Esterzili, Villagrande Strisaili, Seui e Ussassai, il casu in filixi è un formaggio a pasta molle: deve il suo nome all’utilizzo delle foglie di felce, che aromatizzano il prodotto e lasciano una caratteristica impronta sulla sua superficie. Da consumare fresco, ha un sapore muschiato e il profumo dei formaggi caprini e ovini.
Altro formaggio fresco, il casu friscu, grande principe della gastronomia sarda utilizzato nella produzione di ravioli e pardulas, il dolce tipico del periodo pasquale. Prodotto in piccole forme, ha una conservazione molto breve e deve essere consumato entro sette giorni. Tra gli altri suoi utilizzi la cottura alla brace e l’impiego sul pane abbrustolito, per la creazione di crostini golosi.
Un vero e proprio inno alla biodiversità sarda, i formaggi prodotti con il latte delle pecore nere di Arbus (qui tutte le sue bellezze) sono a breve, semi e lunga stagionatura. Allevati nei territori arburesi da tempo immemore, questi particolari ovini conferiscono alle produzioni degli aromi che ricordano i pascoli e i profumi della macchia mediterranea.
Famoso, ma vietato. Forse il formaggio più caratteristico e identitario dell’Isola, su casu marzu (o frazigu o becciu o fattittu) è una forma di pecorino nella quale, durante la stagionatura, si sviluppano le piccole larve della Piophila casei, nota come mosca del formaggio.
A seconda della vitalità degli insetti e delle condizioni ambientali, il casu marzu ha una pasta dalla consistenza più o meno cremosa, prelevata dalla forma direttamente con un cucchiaino sollevando su tappu, ovvero la crosta.
L’odore penetrante si coniuga a un gusto forte e tendente al piccante, ma che lascia spazio alle essenze della macchia mediterranea. Come negli altri formaggi, i processi di stagionatura incidono sulla decisione dei sapori.
Con una produzione relegata a quella in ambiente domestico, la sua vendita è vietata: tuttavia sempre più curiosi, estimatori e turisti vanno alla ricerca di questo caratteristico formaggio, apprezzandone le peculiarità.
Dal pascolo all’eccellenza
La creazione di un buon formaggio non è lasciata al caso. ”Come raccontavano già i nostri padri e nonni, il gusto del formaggio dipende sicuramente dal pascolo: le erbe consumate dagli animali, siano essi bovini, ovini o caprini, conferiscono delle essenze al prodotto”, spiega Serafino Mura, responsabile di Campagna Amica Oristano, fondazione promossa da Coldiretti..
“A entrare in gioco sono anche le tecniche di produzione e naturalmente i luoghi di stagionatura e affinamento. Un altro elemento da non sottovalutare è il caglio, che comunque dà sapore. I più tradizionali e apprezzati ancora oggi sono quelli di vitello e capretto. Ci sono poi come alternative i prodotti di farmacia e addirittura quelli vegetali, utilizzati per la produzione di formaggi adatti agli intolleranti al lattosio”, aggiunge Mura. “Ciò che però dà un valore aggiunto al formaggio è sicuramente la narrazione e la conoscenza del prodotto stesso, legato al territorio e la sua storia, esaltandone la biodiversità”.
“Il formaggio sardo ha una sua importanza nella storia: già nel Medioevo partivano dei carichi dalla Sardegna verso la Francia e il resto d’Italia. Con il tempo la produzione si è trasformata con lo sviluppo nodale della zona di Macomer, per esempio, e i nuovi modelli di cooperative, tra le quali spicca la 3A di Arborea, e la trasformazione delle piccole aziende in “conferitori” a quelle più grandi”, spiega ancora il responsabile di Campagna Amica.
La produzione casearia nasce tuttavia nelle case grazie alla massiccia presenza di bestiame. “In tutte le case di allevatori e pastori di produceva il formaggio, secondo un criterio basato sulla stagionalità, che ne influenzava il prodotto”, afferma ancora Serafino Mura. “Ancora oggi sono numerosi i privati che producono delle eccellenze. Attualmente assistiamo inoltre alla crescita dei cosiddetti “mini caseifici”, realtà sempre più affermate che hanno avuto una forte spinta grazie alla legge 228/2001, che ha favorito la vendita diretta, agevolando gli imprenditori.
Scegliere un buon formaggio
La Sardegna è una terra di formaggi. “Abbiamo tantissime varietà e qualità che lasciano spazio alle sperimentazioni”, conclude Serafino Mura, responsabile di Campagna Amica Oristano. “La cosa importante è saper scegliere quale prodotto acquistare, preferendo aziende locali e produttori che tengano alla qualità”.
[ Progetto realizzato in collaborazione con l’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna ]