Mercoledì, 25 ottobre 2023
Testimoni di secoli di storia, i castelli dei Giudicati di Sardegna continuano a stupire con il loro fascino misterioso. Riconvertiti in carceri, musei o centri culturali, questi manieri sono il segno di un’epoca che ha caratterizzato il passato dell’isola: l’epoca dei Giudicati di Cagliari, d’Arborea, Torres (o di Logudoro) e Gallura; l’epoca della grande eroina Eleonora d’Arborea, donna di governo, al cui nome è legato quello della Carta de Logu.
Come si viveva in questi castelli? Al sicuro nelle loro corti, quanti li occupavano facevano la storia, ma affrontavano anche la quotidianità, seppur tra lussi e agi.
Il professor Giampaolo Mele, docente ordinario presso l’Università di Sassari di Storia della musica medioevale (nello stesso ateneo ha insegnato Paleografia) e direttore scientifico ISTAR, l’Istituto di studi arborensi, ricostruisce luoghi e usi dei castelli giudicali di Sardegna.
Come si viveva nei castelli sardi
di Giampaolo Mele
Il castello di Aristanis, castrum regium, si ergeva a ridosso della Porta de mari, che guardava a meridione. Annesso al castrum, spiccava il palatium regium, il palazzo giudicale, di fronte alla piazza de sa Majoria, che fungeva anche da reggia. Questo complesso architettonico, che sorgeva presso l’ex carcere dell’attuale piazza Mannu, e di cui non è rimasto praticamente nulla, presentava diverse ali. All’esterno erano ubicate la stabula (stalla), la turrina de massa (magazzini di granaglie) e la turrina de silba (deposito di legname). In un altro settore erano collocati servizi quali la canava (dispensa) e la cochina (cucina). All’interno figuravano gli appartamenti della famiglia arborense, spazi per la cancelleria, la tesoreria e una cappella, intitolata a San Salvatore, dove sicuramente Eleonora pregava tutti i giorni, sebbene fosse assidua anche della cattedrale, della chiesa di Santa Chiara e del convento di San Francesco, dove nel 1388 fu firmata l’effimera pace con la Corona d’Aragona.
La vita quotidiana nel palatium regium, annesso al castello, era scandita da cerimoniali di corte. Ai tempi di Mariano IV, padre di Eleonora, nel 1353, nella reggia arborense trombettieri (tubicinatores)e altri strumentisti eseguivano interventi musicali (sonabant) prima e dopo i pasti del giudice d’Arborea.
Nei gagliardetti delle trombe era raffigurato in alto l’albero verde (arbor viridis), e in basso lo scudo reale (signum regale). Il cerimoniale per i pasti seguito ad Aristanis si basava sulle Ordinanze di Corte, emanate a Barcellona dal re Pietro IV il Cerimonioso, l’acerrimo nemico di Mariano IV.
I giudici d’Arborea possedevano una serie di possenti manieri. Basterà ricordare quelli di Burgos, nel Goceano, e poi quello di Bosa, già dei Malaspina.
Burgos era una delle sedi preferite sia da Mariano IV, sia dai suoi figli Ugone ed Eleonora.
Sempre in quel fatidico 1353, a settembre, quando scoppiò la sanguinosa guerra tra Arborea e Aragona, nel castello del Goceano («in castro et loco Gociano»), Mariano IV, invitato da ambasciatori catalani a presentarsi ad Alghero dall’ammiraglio Bernat de Cabrera, pronunciò la celebre frase carica di orgoglio dinastico: «Giammai la casa d’Arborea ha usato recarsi da nessuno che venga qui, tranne figlio di re, e che sia primogenito».
In quei stessi giorni, presso il castello di Bosa, sempre lo stesso giudice d’Arborea consegnò con le proprie mani un vessillo bianco (vexillum album), con un albero verde dipinto al suo interno (cum arbore viridi intus picta) che doveva essere recato ai rivoltosi di Sanluri e Villa di Chiesa (Iglesias), in una Sardegna meridionale sollevatasi in gran parte contro i catalano-aragonesi.
Anche nel castello arborense della città del Temo c’era una cappella, che tra l’altro presenta rari affreschi sul tema dei Tre vivi e Tre morti. La vita di corte è testimoniata anche dal recente rinvenimento, durante uno scavo dell’Università di Sassari, di un flauto in osso.
Quando il giovane donnikellu Ugone conquistava castelli veniva celebrato con il canto di laudes. Diventato giudice d’Arborea, col nome di Ugone III, lo sfortunato fratello di Eleonora finì tragicamente la sua vita il 3 marzo 1383, sgozzato in una congiura di palazzo, e gettato semivivo insieme alla figlioletta Benedetta, in un pozzo presso la reggia giudicale e il castrum.
Tra le principali fonti storiche sul palazzo giudicale spiccano i Procesos contra los Arborea, che si conservano presso l’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona in 10 volumi.
L’ISTAR sta approntando una edizione critica, con traduzione italiana dei testi latini, catalani e aragonesi.
Il castello di Eleonora d’Arborea a Oristano
Eleonora d’Arborea visse tra la prima metà del 1300 e il 1400, in un’epoca costellata dalla drammaticità delle guerre e la peste, che decimò le popolazioni d’Europa.
Nonostante la corte della giudicessa fosse itinerante e si spostasse in vari centri dell’Isola, Aristanis era la sede istituzionale del Giudicato d’Arborea, la cui reggia sorgeva nell’attuale piazza Mannu. Di quella reggia sono rimasti solo pochissimi resti inglobati all’interno dello stabile del vecchio carcere, ormai dismesso.
L’edificio appartiene al Demanio statale. Negli anni passati, lo si è potuto visitare solo in occasione della manifestazione Monumenti Aperti. E così è ancora oggi.
Camminando per il centro storico di Oristano, non è difficile imbattersi nei luoghi che hanno costellato la vita di Eleonora d’Arborea: la cattedrale dell’Assunta in piazza Duomo, la chiesa e il monastero di Santa Chiara e il convento di San Francesco. Alla giudicessa è dedicata piazza Eleonora d’Arborea, nella quale si potrà ammirare una statua che la raffigura.
Un’altra occasione per rivivere le atmosfere medievali della città, è la Sartiglia, la giostra equestre che durante il Carnevale vede i migliori cavalieri correre al galoppo sui loro destrieri colorati dalle tipiche rosette per centrare con una spada una stella appesa al centro della pista.
Proprio in occasione dell’evento, è possibile ammirare la ricostruzione degli abiti dell’epoca giudicale con la sfilata della Corte di Eleonora d’Arborea, nella quale spicca una giovane donna, scelta tra tante aspiranti, per impersonare la famosa giudicessa.
Il castello di Sanluri
Unico abitabile degli 88 castelli presenti in Sardegna, il castello di Sanluri fu testimone della fine del Giudicato di Arborea con la battaglia del 1409: nacque il Marchesato.
Nonostante venga chiamato “castello di Eleonora d’Arborea” e il primo impianto risalga al XII secolo, la storia dell’edificio è più legata alla famiglia d’Aragona: fu Pietro V per regio decreto a ordinarne la costruzione della fortificazione il 27 luglio 1355. I lavori, partiti il giorno stesso, si conclusero a tempo di record il 22 agosto, dopo appena 27 giorni.
Divenne in seguito la dimora di varie famiglie, dai De Sena, Henriquez e Aymerich, fino ai conti Villa Santa, attuali proprietari.
Il castello, nel quale si può ammirare una suggestiva scala a T in pietra che porta al primo piano, ospita oggi un vero e proprio polo museale.
Passeggiando tra le sue sale si possono scoprire numerose collezioni, tra le quali quella dedicata al Risorgimento e alla Prima Guerra Mondiale: sono custoditi cimeli garibaldini, armi, giornali d’epoca e addirittura la bandiera tricolore sulla quale, nel 1918, soffiò il vento di una Trieste appena riconsegnata all’Italia.
Altri reperti di grande interesse, le oltre 400 ceroplastiche artistiche risalenti ai secoli tra il Cinquecento e l’Ottocento, quelli custoditi nella sezione napoleonica e le lettere e autografi del poeta Gabriele d’Annunzio.
Racchiuso nello scrigno del castello, è possibile visitare il Museo del Pane, dedicato al territorio di Sanluri e al suo pane civraxiu: secondo la leggenda l’antica denominazione di Sanluri, Sellori, significherebbe proprio “su logu e su lori”, ovvero “il territorio del grano”.
Uscendo dalle mura della fortezza, ma con lo stesso biglietto, si può fare tappa al Museo Storico Etnografico dei Padri Cappuccini, ospitato dal Convento edificato nel 1600 su una collina. Le tre sezioni permettono di scoprire la quotidianità dell’ordine e dei sanluresi: una è dedicata all’arte e gli arredi sacri, la seconda ai reperti archeologici del territorio e dell’Isola e la terza alla vita della del convento e del borgo circostante.
Tutte le informazioni sugli orari di apertura e i biglietti del castello e il polo museale sono disponibili sul sito ufficiale (qui il link): la visita guidata al castello è fissata a cadenza regolare a partire dalle 10.
Il castello di San Michele a Cagliari
La leggenda narra sia popolato dai fantasmi di oscuri personaggi tra gli echi di fatti sanguinosi e occulti che vi si consumarono: il castello di San Michele, a Cagliari, osserva il capoluogo sardo dall’omonimo colle sotto lo sguardo vigile della gatta Sissi, la sua custode.
Realizzato con calcare delle cave di Bonaria, si presenta con una struttura quadrangolare, con alte torri imponenti. L’edificio è circondato da un fossato, oggi superabile con un ponte.
La storia della costruzione del suggestivo edificio cagliaritano è avvolta dal mistero: il primo impianto, composto da una sola torre, risalirebbe a un periodo tra il IX e il X secolo, posto a difesa di Santa Igia, antica capitale del giudicato di Cagliari.
È dal 1325 che le vicende del castello si legano a doppio filo con quella dei nobili Carroz, nel momento in cui il re di Spagna Alfonso III lo donò a Berengario: trasformato in una dimora lussuosa grazie agli oggetti preziosi trafugati probabilmente dalla basilica di San Saturno, il proprietario ne fece un rifugio per malviventi in cerca di asilo.
Sotto i Carroz il castello conobbe il suo massimo splendore fino al 1511, anno nel quale si spense la contessa Violante, che si guadagnò la maledizione del clero per l’uccisione di un sacerdote: la leggenda narra che lo spirito della donna ancora aleggi tra i corridoi del castello.
Se tra i cunicoli sotterranei un sacerdote vi cercava tesori nascosti con formule magiche e riti demoniaci, in molti vi trovarono solo la morte nel 1600 quando, dopo un secolo di abbandono, il castello divenne un lazzaretto durante la grave epidemia di peste. Nel tempo venne poi riconvertito a fortezza militare con tanto di cannoni puntati contro le truppe napoleoniche e quindi, dal 1927 al 1972, in stazione radio telegrafica della Marina Militare.
Attualmente il castello è un vivo centro comunale d’arte e cultura, che ospita numerose iniziative, circondato da un parco (qui tutte le informazioni sugli orari di apertura) nel quale passeggiare durante le belle giornate di sole. Tutte le informazioni sulle attività del centro culturale sono disponibili sulla pagina Facebook ufficiale: il castello è aperto dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18.
Inserito nel sistema museale della città, il castello è uno dei simboli di Cagliari, ricca di storia e siti d’interesse.
Per vivere le atmosfere medievali del borgo, è possibile passeggiare tra i bastioni e le vie del quartiere Castello, affacciate sulle meravigliose dimore nobiliari di Palazzo Regio e Palazzo di Città.
Si possono poi ammirare le torri medievali di ingresso, ovvero quelle dell’Elefante e di san Pancrazio. Attraverso i bastione di Saint Remy, a Castello è collegato il quartiere Villanova, nei quali sorgono il chiostro di san Domenico, la chiesa di san Saturnino e la basilica di Nostra Signora di Bonaria.
Dalla Marina con i suoi portici, si passa al quartiere di Stampace, che ogni anno, il primo maggio, vive la Festa di sant’Efisio, evento atteso in tutta l’Isola.
Il castello di Bosa
Situato sul colle di Serravalle, il castello di Bosa sovrasta la città dei colori da secoli e racconta tra le sue mura la storia di due famiglie: i Malaspina e gli Arborea.
“Il primo nucleo del castello si presume sia stato edificato intorno al secondo decennio del XII secolo. I suoi costruttori, la famiglia dei Malaspina, erano presenti nel territorio sardo sin dal 1100 e, a seguito della morte di Adelasia di Torres nel 1259, diedero vita ad una serie di signorie principalmente nel giudicato di Gallura, in quanto più vicini alla loro terra d’origine, la Lunigiana”, spiega l’archeologo Simone Falqui. “Intorno al 1308, periodo in cui il castello viene ceduto agli Arborea, viene ampliata la cinta muraria e, in quello stesso periodo, viene eretta anche la torre maestra. Si presume che la costruzione fosse stata affidata all’architetto Giovanni Càpula, lo stesso che costruì a Cagliari la torre dell’Elefante e quella di San Pancrazio”.
Del blocco originario voluto dai Malaspina rimane il recinto difensivo in muratura con le torri e il torrione e il cammino di ronda. Al suo interno, oltre ai ruderi della residenza fortificata destinata ai castellani e i familiari, è custodito un autentico tesoro: la Cappella Palatina della chiesetta del castello. Dedicata nell’Ottocento alla Nostra Signora de Sos Regnos Altos, conserva gli affreschi risalenti al periodo degli Arborea, che, cosa poco comune in Sardegna, ricoprono tutte le pareti del blocco.
Alle scene religiose, tra quali alcune provenienti dalle pagine del Vangelo e altre dedicate alle vite dei santi, si affianca un particolare affresco.
“Raffigura il tema dell’incontro dei tre vivi e dei tre morti. Questo tipo di rappresentazione è tipica del periodo medievale e richiama il “memento mori” e cioè “ricordati che devi morire””, spiega ancora l’archeologo Simone Falqui. “Vengono ritratti tre nobili vivi a cui vengono mostrati tre morti in varie fasi di decomposizione, come monito sulla fragilità della vita. Pochi altri sono i luoghi in cui viene rappresentata questa leggenda, tra cui la chiesa di San Flaviano a Montefiascone in provincia di Viterbo, la Sacra di San Michele di Torino e la cattedrale di Avignone in Francia”.
Tra le leggende che aleggiano intorno al castello, una vuole che un marchese Malaspina fece costruire un lungo corridoio di collegamento tra l’edificio e la cattedrale, per costringere la consorte a recarsi in chiesa senza farsi vedere da occhi indiscreti. Ossessionato dall’idea che la moglie potesse tradirlo, le mozzò le dita: rimosso l’episodio dalla mente, fece l’incauto gesto di tirare fuori il fazzoletto nel quale aveva avvolto le falangi davanti a conoscenti, lasciandole cadere e finendo incarcerato. Alcune pietre del castello sarebbero le dita della poveretta pietrificate o forse i testimoni rimasti orripilanti nel vedere le dita rotolare sul pavimento.
Legati a doppio filo con la storia italiana, i Malaspina figurano in una delle opere letterarie più famose: la Divina Commedia di Dante. “Fui chiamato Currado Malaspina; non son l’antico, ma di lui discesi; a’ miei portai l’amor che qui raffina”, proprio così si presenta uno dei marchesi al sommo poeta nell’ottavo canto del Purgatorio.
Dall’alto delle mura del castello è possibile osservare Bosa da una prospettiva inedita, immaginando di passeggiare tra le affollate vie medievali dalle atmosfere dantesche circondate dalla cinta muraria: qui si potranno scoprire i quartieri del centro storico bosano, tra i quali il nucleo medievale di Sa Costa, con i rioni di Corte Intro, Modoleddu, Via delle Scuole e di Corte ’e su Piscamu. E qui si potrà assaggiare la Malvasia, vino tipico locale molto apprezzato.
Viaggiando nel tempo si approda al Cinquecento con Santa Croce; a nei secoli Settecento e Ottocento con Sa Piatta.
Affascinati dalle coloratissime dimore per la quale il borgo è famoso, si arriva al fiume Temo, sul quale si affacciano le antiche concerie.
Nel periodo carnevalesco si può vivere una Bosa irriverente con il Karrasegare ‘Osincu, con la tradizionale maschera in nero de “S’Attittidu” e la bianca “Chilchende a Giolzi Moro”.
Tutte le informazioni sugli orari di apertura del castello e sulla Cappella Palatina sono disponibili sul sito ufficiale a questo link.
[ Progetto realizzato in collaborazione con l’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna ]